Acquisizione certificati casellario o della documentazione presso servizi sociali della persona offesa e del testimone

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SVIZZERA: DI GIUSTIZIA, STRATEGIA DIFENSIVA E DIRITTO ALLA DIGNITÀ UMANA

Contribuito esterno di Avv. Immacolata Iglio-Rezzonico, Lugano
 

Con sentenza numero 38158/2023, la corte di Cassazione italiana sezione 5 si sofferma su una norma del codice di procedura penale italianol’articolo 236 CPP, che prevede l’acquisizione di documenti relativi al giudizio sulla personalità sia dell’imputato e sia della persona offesa quando si deve valutare il comportamento o le qualità morali di quest’ultima in relazione al fatto per cui si procede e al comma 2 dell’articolo 236 CPP per valutare la credibilità del testimone.

Nel campo penalistico italiano, cioè, la predetta norma disciplina la possibilità di acquisire certificati del casellario, sentenze irrevocabili di “qualunque giudice italiano e sentenze straniere riconosciute”, nonché documenti presso servizi sociali, inerenti la persona offesa e il testimone ai fini della valutazione sulla credibilità.

Questa disposizione statuisce, in effetti, l’utilizzo di documenti al solo fine «del giudizio di personalità dell’imputato, o della persona offesa del reato.

Ritengo importante soffermarsi sulla “potenziale” se non concreta pericolosità di questa norma, nel momento in cui consente di acquisire qualità “morali” o precedenti della persona offesa se il fatto per il quale si procede deve essere valutato in relazione al comportamento o alle qualità morali di questa.

In particolare preoccupa l’uso di tale norma soprattutto nell’ambito dei reati legati alla sfera sessuale, per i quali “giudicare” la personalità della vittima e/o le sue qualità morali, potrebbe come già tristemente accade in molte aule giudiziarie, alimentare il sistema di colpevolizzazione della stessa, che di fatto “se le è andata a cercare”, visti i precedenti….

Nelle aule giudiziarie e nel sistema normativo dovrebbe, invece, prevalere la Giustizia, cioè quella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge (definizione di giustizia da Enciclopedia Treccani).

La legge è di solito il risultato del pensiero culturale e politico della società che l’adotta e, pertanto, la morale e la ragione che vengono applicate perché si attui la giustizia, non sempre coincidono con ciò che veramente sarebbe giusto in termini di dignità umana.

Nei reati a sfondo sessuale questa è una triste evidenza, purtroppo presente in quasi tutti i sistemi legislativi vigenti.

La vittima di un reato sessuale è l’unica che subisce interrogatori, giudizi, apprezzamenti di valore, per giustificare il comportamento e l’atteggiamento dall’aggressore/carnefice.

Processi a vittime di violenze sessuali e sentenze in tali processi mostrano come sul banco degli imputati non vi sia chi di fatto ha commesso il reato, ma la vittima che si sarebbe posta in un atteggiamento che ha scatenato o quasi istigato l’aggressore:

eri vestit* in maniera troppo provocante, sei di facili costumi, andavi in giro da sol*, sei gender fluid, sono una piccola parte delle frasi che le vittime si sentono dire nei processi per definirle di fatto disponibili.

In questo caso la moralità imperante, che purtroppo, nonostante le numerose lotte portate avanti nell’ultimo secolo, sembra non essere cambiata, anzi addirittura peggiorata, è il giudizio su comportamenti non ritenuti ragionevoli e nei canoni culturali imperanti.

Ma quali sono questi canoni culturali imperanti e “ragionevoli” se non quelli di un sistema patriarcale e machista, basato sulla sopraffazione del divers* e, nell’ambito dei reati a sfondo sessuale divers* della donna che esprime la propria libertà vivendo la propria vita uscendo dagli stereotipi della donna casalinga e devota al proprio uomo, di colu* che vive la propria sessualità uscendo dalle forme binarie o etero.

Pertanto, se vieni aggredita sessualmente è perché non sei rimasta nei canoni tradizionali e hai quindi fatto intendere che ti andava bene essere così libera da accettare che chiunque abusasse di te.

L’articolo 236 CPP e il suo relativo utilizzo altro non è che la manifestazione palese di una cultura che giudica e stigmatizza chi ha sbagliato secondo i canoni normativi, culturali e morali imperanti.

Ma la storia è colma di leggi che invece che tutelare l’essere umano ne permettevano l’annientamento (basti pensare alle leggi razziali vigenti durante il periodo nazista o quelle vigenti in Sud Africa e negli Stati Uniti per citare alcuni esempi non così lontani nel tempo e nello spazio), eppure erano leggi.

Cosa deve, pertanto, prevalere se si vuole parlare di giustizia, se non la tutela primaria della dignità di ogni essere umano.

Scriverlo sulla carta dei diritti fondamentali non basta se poi non sappiamo dare valore e dignità ad ogni essere umano, per il solo fatto che è ed esiste.

Indagare sulla moralità di una vittima di reato sessuale, sui suoi precedenti e su suoi passaggi ai servizi sociali non rientra di sicuro nella tutela della sua personalità e dignità.

Quanto alla morale si è già detto sopra e si aggiunge che se anche una persona si sentisse completamente libera di fare esperienze sessuali con più persone rimane comunque libera di scegliere con chi fare queste esperienze.
Nessuno può sentirsi legittimato ad imporre il proprio atto sessuale se l’altra persona non vuole, nemmeno appunto se quest’ultima è una persona libera sessualmente.

Imporre al giudice un pregiudizio sulla vittima, solo perché ha avuto dei precedenti o delle situazioni di difficoltà che l’hanno portata ad essere seguita dai servizi sociali, non può e non deve giustificare il reato o il comportamento dell’aggressore. I reati sessuali sono gli unici reati nei quali è la vittima che deve dimostrare non solo di aver subito, ma di non aver provocato.

Sarebbe opportuno che, invece di predisporre norme per attuare strategie difensive che vanno a ledere la dignità di ogni essere umano, si porti avanti un lavoro di prevenzione, informazione e cambiamento culturale per destrutturare questa cultura patriarcale e machista imperante.

Avv. Immacolata Iglio Rezzonico

Link ad un contribuito di Ricardo Radi (https://terzultimafermata.blog/))

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