La rilevanza della CEDAW nella  giurisprudenza degli Stati contraenti. Un commento a margine della recente pronuncia della consulta in tema di trasmissione del cognome ai figli

MONDO (CEDAW): GIURISPRUDENZA IN ITALIA

2017

Alberta FABBRICOTTI, Rivista AIC – Associazione italiana dei costituzionalisti, 2/2017.
L’art 16, cifra 1 lit. g) CEDAW impegna gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari e, in particolare, ad assicurare “gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome...”
L’articolo di Alberta Fabbricotti analizza l’interpretazione di questa norma e come le corti nazionali si riferiscono – o non riferiscono – al diritto internazionale e in particolare alla CEDAW: In una sentenza della Corte costituzionale italiana del 21 dicembre 2016, n. 286, la Corte riconobbe che “l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”.
All’origine della vertenza vi era il ricorso di una coppia italo-brasiliana che aveva concordemente richiesto di attribuire al proprio figlio minore il cognome materno, in aggiunta a quello paterno (cosiddetto doppio cognome).
Dal profilo tecnico, la Corte ha risolto la questione constatando un contrasto con la Costituzione piuttosto che un conflitto con una norma che tutela un diritto fondamentale riconosciuto da una convenzione internazionale in materia di diritti umani (tramite l’art. 117 Cost.), cioè per motivi tutti interni all’ordinamento italiano e riferendosi in particolare alla violazione del diritto all’identità del minore più che alla violazione del principio di eguaglianza dei coniugi. Infatti, il doppio cognome non garantisce ancora la piena parità tra moglie e marito, tra madre e padre, dal momento che il cognome posto in seconda posizione (o cognome aggiunto), che presumibilmente è il cognome della madre, non può essere trasmesso alla generazione successiva.
L’autrice analizza poi i lavori preparatori che hanno portato alla formulazione dell’art. 16 cifra 1 lit. g CEDAW e la giurisprudenza del comitato CEDAW, concludendo che “Con il passare del tempo, la norma ha assunto definitivamente e incontestabilmente la sua accezione più ampia, ossia quella a garanzia dell’eguaglianza dei coniugi riguardo alla scelta del cognome dei figli” e non solo alla libertà di conservare, dopo il matrimonio, il proprio cognome da nubile, anziché adottare necessariamente il cognome del marito. Una ricerca condotta su un campione di 325 sentenze di giudici nazionali di 55 Stati le permette di “concludere che quando, come avviene nella maggior parte dei casi, i richiami alla CEDAW vengono marginalizzati e/o ignorati, non vi è mai un completo rigetto o sovvertimento delle disposizioni convenzionali. Quando le corti nazionali sono inclini a giungere a conclusioni incompatibili con la CEDAW, esse, semplicemente, la ignoreranno o ne minimizzeranno la portata”. Tornando alla sentenza della Corte costituzionale italiana da cui l’articolo prende spunto, l’accertamento di illegittimità è stato esplicitamente limitato al fatto di non consentire ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno: “Se la Corte si fosse pronunciata, con portata generale, per l’illegittimità della regola dell’attribuzione automatica del cognome paterno, come avrebbe richiesto anche l’esigenza di conformare l’ordinamento italiano alla CEDAW, si sarebbe venuto a creare un vuoto normativo difficilmente colmabile sul piano interpretativo-applicativo ed amministrativo, con conseguente esplosione del contenzioso tra coniugi”. L’autrice conclude quindi che si è trattata di una scelta di mera opportunità in buona parte condivisibile, che non ha implicato complesse valutazioni di natura giuridica. Ciò non toglie che “Si fa sempre più urgente la necessità di un intervento legislativo che disciplini in modo esaustivo e coerente il diritto dei genitori di scegliere il cognome dei propri figli”.

Accesso diretto all’articolo (rivistaaic.it)
Accesso diretto alla sentenza della Corte costituzionale no. 286/2016